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Se non sai mollare gli ormeggi al crepuscolo e gettare le ancore in acque sconosciute, se non impari a sentire familiari tutti i venti, anche quelli più selvaggi, quelli che fanno tremare gli infissi delle finestre, non hai alcuna idea della vita.

TARANTO Quartiere Tamburi Via Orsini

TARANTO Quartiere Tamburi Via Orsini

“È dunque così che si combattono i mostri? Lasci che ti vengano vicino, li guardi negli occhi e poi li colpisci.”
(Hank Deerfield)

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata
ogni violazione del copyright verrà perseguita a termini di legge

LE CRAVATTE, I FOULARD E LA VANITA’ DELLA POLITICA

Fateci caso, guardate con più attenzione i politici che si presentano in televisione.

Osservate come si abbigliano e si travestono.

Guardate le cravatte sgargianti degli uomini e i foulard vezzosi delle donne, chiedetevi perché, a qualunque ora del giorno e della notte, sembrano appena usciti da un negozio di abbigliamento.

E osservate la semplicità di chi, invece, ha qualcosa da dire di veramente “intelligente”.

Mi capita spesso di guardare i notiziari la mattina molto presto e la sera molto tardi.

Tendo a non seguire più i talk show, a meno che non affrontino tempi particolari o abbiano protagonisti interessanti.

E’ stato proprio osservando le differenze tra gli attori che si alternano nel “media circus”, tra interviste e dibattiti, che ho notato quanto l’abbigliamento sia diventato elemento determinante per comprendere lo stato della politica e, più in generale, del degrado televisivo nazionale.

Per un Gherardo Colombo, che da Santoro si offre alle telecamere quasi trasandato nella sua semplicità, ecco un Emilio Dalla Vedova che, al TG3 Linea notte, sfoggia una cravatta di gesso e una camicia appena uscita dalla stireria.

Per una Cecilia Strada, assolutamente incurante delle mode più recenti, ecco subito una Giovanna Melandri che ostenta un abbigliamento “da cerimonia”, senza un solo dettaglio fuori posto.

In sostanza, alla assenza di narcisismo corrisponde una presenza di contenuti, tanto quanto alla affettata eleganza corrisponde la vacuità di argomenti.

“Vanitas vanitatum, omnia vana sunt”, recita l’Ecclesiaste nella versione latina e, parafrasando una celebre battuta cinematografica, verrebbe da concludere “E’ la televisione, bellezza, e tu non puoi farci niente!”.

In realtà, qualcosa si può fare: ricordarsi di certe cravatte e certi foulard quando andremo a votare.

DAL VIETNAM ALL’AFGHANISTAN, L’ORRORE SI RIPETE…

«Sono entrato in tre case e ho contato 16 morti, inclusi bambini, donne e uomini anziani», racconta in una testimonianza un reporter dell’agenzia Afp che ha visitato i villaggi afghani dove un soldato americano ha compiuto una strage di civili. «In una delle abitazioni c’erano i corpi di dieci persone, fra cui donne e bambini, che erano stati tutti uccisi e bruciati in una stanza. Un’altra donna invece giaceva morta all’entrata della casa. Sono stati uccisi e bruciati. Ho visto (fra i cadaveri) almeno due bambini fra i due e i tre anni, che erano stati bruciati».

Il racconto del fotografo continua con immagini agghiaccianti. «In un’altra casa», situata in un secondo villaggio, «c’erano quattro persone morte. Ho visto i loro cadaveri stesi in una stanza. Fra loro c’erano due uomini anziani e una donna».

La strage è avvenuta nella notte. Il soldato è uscito dalla sua base, nel sud dell’Afghanistan prima dell’alba . Ed è andato casa per casa. Un percorso metodico e folle che lo ha portato al villaggio accanto. Il soldato sparava in mezzo alla gente. Senza motivo. Dicono in preda a un raptus, causato dall’esaurimento nervoso. Di lui non si sa ancora il nome. Dopo ore di confusione sul numero delle vittime, se ne sono contate sedici.

Quanto accaduto mi riporta alla mente le storie di altri massacri e di altri orrori, ultimo tra i quali quello di My Lay; qualcuno se lo ricorda?

Il massacro di My Lai, fu una strage di civili inermi che avvenne durante la Guerra del Vietnam, quando i soldati statunitensi della Compagnia Charlie, della 11a Brigata di Fanteria Leggera, agli ordini del tenente William Calley, uccisero 347 civili – principalmente vecchi, donne, bambini e neonati. I soldati si abbandonarono anche alla tortura e allo stupro degli abitanti.

Allora fu un giovane reporter indipendente, Seymour Hersh, a scoprire la storia e il 20 novembre il quotidiano di Cleveland, The Plain Dealer, pubblicò fotografie esplicite dei cadaveri delle persone uccise a My Lai.

La pubblicazione della storia di My Lay spostò l’opinione pubblica statunitense in modo decisivo a favore del ritiro dal Vietnam e oggi Hersh è considerato un maestro del giornalismo ma nessuno, evidentemente, ha tenuto conto dei precedenti e ci troviamo a leggere ancora una volta l’orrore della follia umana…

CON I SE E CON I MA…

“L’ostaggio italiano Franco Lamolinara è morto durante un blitz delle teste di cuoio britanniche. Con lui è rimasto ucciso anche un altro ostaggio britannico, Cristopher McManus. È successo a Sokoto, nel nord-ovest della Nigeria, non lontano dal luogo in cui l’ingegnere italiano era stato sequestrato il 12 maggio 2011. Lamolinara e il collega britannico sono stati trovati già privi di vita quando le forze speciali inglesi e nigeriane sono riuscite a entrare nell’abitazione dove erano tenuti in ostaggio, secondo quando riferiscono servizi segreti del paese africano. I killer degli ostaggi sono stati arrestati e sarebbero membri, secondo quanto annunciato dal presidente nigeriano Goodluck Jonathan, del gruppo terroristico islamista Boko Haram.”

Fin qui la notizia scarna e dolorosa, poi qualche dettaglio in più: Palazzo Chigi non era stato informato del blitz e una nota della presidenza dei Ministri chiarisce che l’operazione «è stata avviata autonomamente dalle autorità nigeriane con il sostegno britannico, informandone le autorità italiane solo ad operazione avviata». Sul fronte diplomatico il premier inglese Cameron, che si è rammaricato per le perdite ma non scusato con l’Italia, ha spiegato di aver «autorizzato direttamente l’operazione» di salvataggio dei due ostaggi dopo aver ricevuto «informazioni credibili dopo mesi di assoluta incertezza sulla loro localizzazione. «Avevamo ragione di credere che i due ostaggi uccisi oggi in Nigeria erano in imminente pericolo di vita», ha dichiarato nell’intervista televisiva con cui ha annunciato la morte di Lamolinara e McManus.

Il punto non è la drammatica morte di due ostaggi bensì la gestione dei sequestri in aree di crisi. Per essere chiari bisogna risalire al 4 marzo 2005, giorno in cui Nicola Calipari fu deliberatamente assassinato da soldati statunitensi in Iraq, nelle fasi immediatamente successive alla liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Se Nicola Calipari fosse vivo e la sua squadra fosse operativa sotto la sua guida, molti degli ostaggi italiani sarebbero giù liberi. E non serve chiedere le prove di questa affermazione come non serve l’affermazione in se stessa. La storia e la cronaca, purtroppo, non si fanno né con i se né con i ma…

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“Spesso le esperienze che viviamo non si possono esprimere a parole e chi pretende di raccontarle incorre fatalmente in errori.” (R. M. Rilke)

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata

chi Schettino e chi Todaro…

I media italiani e internazionali sono pieni di articoli, opinioni, ricostruzioni, foto e video della tragedia di quattro giorni fa. Non voglio unirmi al coro di condanna pressoché unanime nei confronti di Francesco Schettino e non certamente perché non lo ritenga un vigliacco incapace. Preferisco ricordare un uomo di cui mi raccontò mia madre quando ero ancora un bambino ed ero affascinato dalle storie dei grandi navigatori.

Salvatore Todaro è stato un ufficiale, Comandante di sommergibili della Marina italiana durante la seconda guerra mondiale.

Nella notte del 16 ottobre 1940, nel corso di una missione al largo dell’isola di Madera, Todaro avvistò il piroscafo belga Kabalo e, dopo aver lanciato inutilmente tre siluri, lo affondò utilizzando il cannone di bordo. Decise immediatamente di rimorchiare i ventisei naufraghi e, navigando in emersione ed esponendosi a tutti i rischi possibili, li trasportò in mare per ben quattro giorni e quattro notti. Alla fine di varie peripezie e dopo che per l’ennesima volta si era spezzato il cavo di rimorchio, Todaro decise di prendere a bordo i naufraghi. Dopo aver percorso oltre 750 miglia riuscì finalmente a farli approdare, in sicurezza, sulla costa delle Azzorre . Si salvarono tutti e si parlò di lui su tutti i giornali d’Europa come del “Gentiluomo del mare”“Neppure il buon samaritano della parabola evangelica avrebbe fatto una cosa del genere”, sbottò l’ammiraglio tedesco Donitz. “Signori, – disse rivolgendosi ai colleghi italiani – io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”.

Per Todaro anziché elogi ci furono richiami all’ordine e moniti da parte dei superiori. Il Don Chisciotte del mare non ne tenne affatto conto e un mese dopo ripeté pari pari l’operazione Kabalo, affondando e poi salvando i naufraghi del piroscafo inglese Shakespeare, confermando la sua fama di piantagrane. Chiese poi e ottenne di essere impiegato nelle operazioni più rischiose, prima con i Mas in Crimea, poi al comando del piropeschereccio Cefalo, in Tunisia, che appoggiava i motoscafi d’assalto nelle imprese più difficili e rischiose. Il mattino del 13 dicembre 1942  un aereo inglese, uno “Spitfire” scendendo a volo radente e spezzonando, mitragliò il Cefalo. La contraerea mise in fuga l’aereo e subito dopo alcuni marinai italiani si precipitarono a bordo del peschereccio, cercano Todaro. Lo chiamarono, ma non rispose. Lo trovarono con gli occhi chiusi, nella sua cuccetta; una piccola scheggia gli aveva trapassato la tempia.

Gi fu conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria, che si aggiunse alla Medaglia di Bronzo al Valore Militare e alle tre Medaglie d’Argento al Valore Militare ricevute in vita.

 

A Taranto, il vento di tramontana…

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata ..

Per molti giorni, da nord ha soffiato un vento forte di tramontana, il Mar Grande e il Mar Piccolo e il cielo sono stati di quell’azzurro luminoso e terso, che non è affatto tipico di Taranto. In certe ore del giorno, il profumo del pane appena sfornato scacciava quello dei gas di scarico di un traffico sempre e comunque caotico. Ho incontrato e conosciuto donne e uomini, ho passeggiato per il centro tirato a lucido dai negozianti per sedurre stanchi e svogliati clienti, ho cercato inutilmente le tracce del color ruggine industriale e gli sbuffi di fumo tossico che inondano abitualmente le case a ridosso del cimitero. Ho conversato con una umanità composita e varia e varie sono state le sensazioni e le opinioni che mi hanno colpito e di cui conservo memoria preziosa. Il grande giornalista, poeta e scrittore, inquieto e tormentato, mi ha guidato attraverso le mille sfaccettature di un popolo che si muove tra rabbia e rassegnazione. L’insegnante appassionata mi ha raccontato l’entusiasmo dei suoi piccoli alunni e le grandi difficoltà di una scuola che soffre al Sud come in nessun’altra parte d’Italia. Il libraio intellettuale non si è lamentato del calo di vendite e mi ha venduto due libri eccellenti. La sconosciuta giovane cameriera di un bar mi ha regalato ogni giorno un sorriso gentile e garbato. Un commerciante di telefoni non mi ha nascosto la crisi profonda del commercio tarantino. La bruna mediterranea commercialista mi ha parlato, con occhi brillanti e amore sincero, dei suoi amati “patriarchi” pugliesi, i meravigliosi ulivi secolari e sua figlia mi ha chiesto consigli per avvicinarsi al mondo della fotografia, con lo stesso timore incantato di un bimbo che vede il mare per la prima volta. Per tre settimane ho vissuto in una città diversa da quella che conosco da otto anni, come se in questo momento, il vento di tramontana avesse spazzato via problemi e disagi, conflitti e polemiche. C’era un’atmosfera strana a Taranto, nei giorni scorsi, o forse, più semplicemente, gli dei mi hanno regalato un particolare stato di grazia che mi ha consentito di vedere, ascoltare, emozionarmi e farmi venire voglia di tornare presto in terra di Puglia.

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“Il Paradiso dipende da noi. Chiunque voglia vive nell'Eden, nonostante Adamo e la cacciata.” (Emily Dickinson da Poesie, BUR, traduzione di Margherita Guidacci)

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata

 

“Il Paradiso dipende da noi. Chiunque voglia vive nell’Eden, nonostante Adamo e la cacciata.” (Emily Dickinson da Poesie, BUR, traduzione di Margherita Guidacci)

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata

oltre…

“C’era da restare accecati a voler fissare il cielo azzurro… Una irresistibile attrazione veniva, col barbaglio, da quella linea: sembrava essere la frontiera del mondo, da lassù potersi fare un tuffo senza fine…”

(Beppe Fenoglio da Un giorno di fuoco, Einaudi)

fotografia di Marco Stefano Vitiello – © 2012 – riproduzione vietata

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